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domenica 11 luglio 2010

LE TRE ANIME DI KARTEL



Tralasciando le attuali vicende giudiziarie che lo riguardano, voglio provare in questo articolo a cogliere i tre aspetti fondamentali che caratterizzano un personaggio così controverso come Vybz Kartel.
Sono tre anime musicali che si contrappongono e sovrappongono lasciando smarriti gli stessi fans. Lascivo, modaiolo e profondo, questi i tre temi principali che è possibile trovare nei testi del deejay jamaicano nato nel Portland il 7 gennaio del 1976. Di certo l’aspetto che più mi appassiona di Kartel è quel modo tutto suo di scrivere “reality tunes”, capace di cogliere come pochi gli aspetti della vita del ghetto, i sogni e le sofferenze, l’arrendevolezza e la voglia di riscatto, la violenza e la convivenza.
Sfaccettature che solo chi vive in quel contesto può raccontare come frammenti di vita vissuta, Anche il 2010 si è aperto nel suo nome, dopo che lo scorso anno era stato monopolizzato dalla reale o costruita rivalità con Mavado. Un capitolo chiuso dopo che le schermaglie reciproche hanno occupato i tabloid non solo jamaicani, uno scontro che ha scomodato il governo ed eminenti professori universitari, pronti a cogliere in questo duello la maggior causa dei problemi jamaicani.
Nel frattempo il deejay collezionava hit dopo hit, da “Love Dem” a “Life We Living”, da “Bycicle” a “Like A Movie”.Di certo qualcuno potrebbe obiettare che in questi tre aspetti manca quello che inneggia alla violenza, che comunque ha caratterizzato una parte consistente del repertorio di Kartel e che solo in questo anno è progressivamente scomparso. Nel frattempo la sua creatura denominata Portmore Empire ha subito diverse defezioni anche traumatiche come quella di Black Ryno e quelle invece più colorite di Lisa Hype e Gaza Indu, alle quali è subentrata la sola e bella Gaza Slim.
Ma torniamo ai giorni nostri e parliamo del deejay che crea tendenza non solo tra i giovani jamaicani. La hit più grande di Kartel nel nuovo anno è senza dubbio “Clarks”, brano dedicato alle famose scarpe che tanta tendenza crearono nei “rude boys” jamaicani sin dalla fine degli anni ’60, prima di esplodere anche in Inghilterra. Non è un caso che il prestigioso quotidiano Guardian abbia dedicato un intero articolo alla tune. Una canzone che il deejay ha scritto sull’onda della passione che nutre per questo modello di scarpe prodotto da una piccola ditta a conduzione familiare, tanto da affermare di possederne 50 paia.
Il video e l’enorme diffusione che la canzone ha avuto in radio hanno fatto il resto, le scarpe sono ritornate velocemente di moda, i negozianti hanno raddoppiato i prezzi e molti ladri hanno assaltato vetrine e ragazzi inermi per assicurarsi il feticcio modaiolo. E’ giusto infine dire che su “Clarks” appaiono anche Gaza Slim e Popcaan.e che a produrlo è Russian. E’ stato così vasto il successo che nel giro di pochi mesi sono usciti anche “Clarks Again” e “Clarks 3”, prima che l’accoppiata Russian Ksrtel ci riprovasse di nuovo con la recente “ Straight Jeans ‘n Fitted”. Più sotterraneo il repertorio che potrebbe essere catalogato sotto l’inequivocabile sigla “XXX”.
E’ il Kartel a luci rosse, quello che cacciato dalla porta rientra dalla finestra. Per il nuovo regolamento che stabilisce quali sono i criteri che una canzone deve avere per essere trasmessa nelle radio jamaicane, queste “hot tunes” sono immediatamente scartate. Poco male perché nel circuito parallelo delle danz e in particolar modo dei go go club (versione jamaicana dei night club) queste tunes dal contenuto chiaro ed esplicito si ritagliano il loro piccolo pezzettino di gloria. Tra le ultime basta ricordare “Beg Yuh A Fuck”, “Me Love U Bad”, il manifesto “Me Love Pussy Forever” e la famosissima “Rompin’ Shop” (non dimentichiamo per lo scorso anno “Verginity” e “Come Tek Cocky”). Questi brani insieme a quelli di matrice più violenta hanno di certo contribuito a costruire un’immagine molto negativa dell’artista, che nonostante sia una star nel proprio paese riesce difficilmente ad esibirsi all’estero e quando ci prova scattano immediati i boicottaggi come è successo qualche mese fa a Grenada.
E passiamo infine al Kartel serio ed impegnato, lo stesso che in una sua recente tune dice “Where Is The Love For The Black Child”, brano contenuto anche nel suo ultimo album “Pon Di Gaza 2.0”. Ma soprattutto è il Kartel di “Life We Living”, “ghetto anthem” profondo ed emozionante nel quale un padre si chiede come mandare un figlio a scuola o farlo vivere quando non ci sono soldi, con i politici che con falsi e ipocriti sorrisi cercano di comunicare un ottimismo che può andare bene solo per le loro corrotte tasche. Un brano davvero bello che mette in mostra anche le capacità del deejay di scrivere testi come pochi sanno fare.
Ho sempre pensato che Kartel lo si può criticare, ma l’errore che è stato commesso su questo artista è che i giudizi sono sempre stati estremi sia in senso positivo (chi lo vede come un Dio) sia in senso negativo (chi lo vede come un diavolo). Invece Kartel è solo espressione di un popolo che vive grandi contraddizioni, che fa fatica a rispecchiarsi nelle sua storia e nelle sue radici, un popolo che guarda all’Occidente e cerca di imitarlo nei suo aspetti più deteriori. Questo filone di “reality song” ha inoltre creato a mio avviso una terza strada per la musica jamaicana fatta di ballad elettroniche che di certo non possono definirsi dancehall.
“Thank You Jah” uscita ad inizio di questo anno ha ancora un testo sofferto con barlumi di speranza. Alzarsi la mattina e rivolgersi a Dio nella speranza di giorni migliori, speranza subito vanificata dalla realtà che li circonda fatta di povertà in strada e promesse mai mantenute come quella di assicurare un’educazione gratuita ai giovani. Meno ombre e più luci in “Realize”, altro brano recente dell’artista per la Dinasty Records. Qui viene fuori la voglia di riscatto consapevole che la volontà e la determinazione possano far realizzare i sogni, proprio come ha insegnato la figura materna che dice ai figli che “l’unico limite è il cielo”. Spero sia stato quantomeno interessante parlare di una figura così complessa come quella di Vybz, che ancora sedicenne ha dato segnali di squilibrio facendosi espellere dalla scuola e che ha trovato nella musica la via del riscatto e dell’affermazione.
Non è un caso che il primo nome artistico che sceglie è Pablo Escobar, noto narcotrafficante colombiano ricercato all’epoca dagli Stati Uniti che con similitudini con quanto successo per Dudus scatenarono una vera e propria guerra per catturarlo. E’ il 1993 quando registra il suo primo singolo dal titolo “Love A Fat Woman”, prima di affiancare Bounty Killer scrivendo per lui alcuni testi. Con “The Warlord” sappiamo tutti come è andata a finire, le strade hanno preso percorsi diversi quando Kartel ha deciso di lasciare l’Alliance per formare il suo Portmore Empire. Poi un’innumerevole e incredibile serie di hits che fanno del deejay l’artista che più volte è stato al primo posto in classifica in questi ultimi 20 anni, primato che gli contende il solo Elephant Man.

MR BIGGA

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